martedì 21 gennaio 2020

La Negoziazione Assistita

Negoziazione assistita


La negoziazione assistita è un istituto nuovo che ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento con il "decreto giustizia" n. 132/2014, convertito in Legge n. 162/2014 (per approfondimenti, leggi la guida legale all'istituto).

Nella seguente guida pratica, cerchiamo di comprendere cos'è, quale iter seguire, in quale forma deve presentarsi e quale contenuto deve avere una convenzione di negoziazione assistita e i modelli allegati utilizzabili.


Cos'è la negoziazione assistita da avvocati?


Pur sempre rinviando alla guida di carattere generale, ricordiamo che la negoziazione assistita consiste in un accordo (c.d. convenzione di negoziazione) con il quale le parti in lite convengono di risolvere con la buona fede e la lealtà una controversia con l'assistenza di avvocati.


Essa è governata da una serie di principi, ovverosia:

- Lealtà e buona fede: gli avvocati e le parti sono tenute a comportarsi con lealtà e buona fede per risolvere in via amichevole la controversia;

- Riservatezza: agli avvocati e alle parti è fatto obbligo di tenere riservate le informazioni ricevute.

In particolare:

• le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso della procedura non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto;

• gli avvocati delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite;

• a tutti coloro che partecipano al procedimento si applicano le disposizioni dell'art. 200 del c.p.p. e si estendono le garanzie previste per l'avvocato dalle disposizioni dell' art. 103 c.p.p. in quanto applicabili.


Quale iter deve essere eseguito?


A questo punto è opportuno ripercorrere, brevemente, l'iter da seguire per attivare la negoziazione assistita.


L'avvocato deve, innanzitutto, informare il cliente della possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita. 
Se la parte accetta, l'avvocato invia alla controparte l'invito a stipulare la convenzione di negoziazione. Tale invito deve essere sottoscritto, deve indicare l'oggetto della controversia e l'avvertimento che - in caso di mancata risposta entro 30 gg. o di rifiuto - ciò costituirà motivo di valutazione da parte del Giudice ai fini dell'addebito delle spese di giudizio, della condanna al risarcimento per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. e di esecuzione provvisoria ex art. 642 c.p.c.

Il nostro legislatore ha, anche, previsto un'ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria.


Si ricorda, inoltre, che il tentativo di esperire la negoziazione assistita è obbligatorio per chi intenda:


- esercitare in giudizio un'azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;

- proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti euro 50.000.

In queste ipotesi l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal Giudice, non oltre la prima udienza

Il Giudice, quando rileva che la negoziazione assistita è già in corso, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dalle parti nella convenzione per la durata della procedura di negoziazione.

Se, invece, la negoziazione non è stata esperita, il Giudice assegna alle parti il termine di 15 giorni per la comunicazione dell'invito a stipulare la convenzione e, contestualmente, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dalle parti nella convenzione stessa.


Quando la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata?


La condizione di procedibilità si considera realizzata se l'invito:

- non è seguito da adesione ;

- o è seguito da rifiuto entro 30 giorni dalla sua ricezione;

- ovvero quando è decorso il periodo di tempo stabilito dalle parti nella convenzione per la durata della procedura di negoziazione.

L'obbligatorietà dell'esperimento del procedimento di negoziazione assistita "non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale".

Qual è il contenuto dell'accordo?


Per quanto riguarda i contenuti, la convenzione di negoziazione assistita deve indicare:


Termine: il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura non può essere inferiore ad un mese e superiore a tre mesi prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti;


Oggetto: l'oggetto non può riguardare né diritti indisponibili, né materie di lavoro.

Sono questi, insomma, gli elementi minimi che la convenzione deve contenere per svolgere la funzione per la quale l'istituto è stato concepito.


Qual è la forma dell'accordo?


Per quanto riguarda, invece, la forma la convenzione deve rivestire, a pena di nullità, la forma scritta.

Essa deve concludersi con l'assistenza degli avvocati i quali hanno il potere di certificare l'autografia delle sottoscrizioni apposte all'accordo sotto la propria responsabilità professionale.


Qual è il ruolo dell'avvocato?


Il ruolo dell'avvocato nella procedura di negoziazione assistita è essenziale. Ha poteri ed obblighi cui deve scrupolosamente attenersi per non incorrere in illeciti deontologici e disciplinari. Essi sono:

- obbligatorietà all'assistenza per l'intero corso della procedura;

- poteri di autentica e certificazione delle sottoscrizioni autografe delle parti, della dichiarazione di mancato accordo, nonché della conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico;

- dovere deontologico dell'avvocato di informare il cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita;

- obbligo procedurale di trasmettere, ai fini di raccolta dati e monitoraggio, copia dell'accordo raggiunto al proprio Consiglio, ovvero a quello dove l'accordo è stato raggiunto.


Quali costi della procedura?

Vista la presenza obbligatoria dell'avvocato, le parti sono tenute a corrispondere il compenso per la prestazione professionale fornita dallo stesso. Si noti bene: in caso di negoziazione assistita obbligatoria, all'avvocato non è dovuto il compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.


Si ricorda, inoltre, che con decreto del ministro della giustizia pubblicato in G.U. l'8 gennaio scorso, sono state disciplinate le modalità per richiedere il credito d'imposta fino a 250 euro per la parte che ha corrisposto il compenso all'avvocato nell'ambito di uno o più procedimenti di negoziazione assistita conclusi con successo (leggi: "Negoziazione: da oggi via agli incentivi sui compensi ai legali. Ecco come presentare domanda e quali documenti allegare").


Deve essere pagato il contributo unificato?


La risposta a questo interrogativo è stata fornita dal Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia, con circolare n. 2309 del 13 marzo 2015.

Con riferimento al contributo unificato, il Ministero ha chiarito che nel procedimento di negoziazione assistita, il Procuratore della Repubblica svolge un'attività di controllo e verifica con caratteri di natura amministrativa in sintonia con lo spirito e la ratio della Legge che ha degiurisdizionalizzato la materia in oggetto, conseguentemente, deve essere esclusa la debenza del contributo unificato di iscrizione al ruolo al momento del deposito dell'accordo presso la Procura della Repubblica competente.

La negoziazione assistita soggiace alla sospensione feriale dei termini?


Quanto alla sospensione feriale, sempre nella circolare n. 2309 del 13 marzo 2015, il Ministero della Giustizia ha affermato che nel procedimento di negoziazione assistita non è applicabile la sospensione feriale dei termini processuali di cui all'art. 1, Legge 7 ottobre 1969 n. 742 e s.m.i., in coerenza con la natura del procedimento non giurisdizionale.


Come può concludersi la negoziazione assistita?


La negoziazione assistita può concludersi:


- negativamente (mancato accordo) 
o

- positivamente (accordo raggiunto).


In caso di mancato accordo viene redatta la dichiarazione di mancato accordo che gli avvocati designati provvedono a certificare.


In caso di accordo raggiunto lo stesso deve essere:


- conforme alle norme imperative e all'ordine pubblico;


- sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono.


Attenzione!!! Si ricorda che l'accordo raggiunto costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.


L'avvocato che impugni un accordo alla cui redazione ha partecipato commette illecito deontologico.


L'accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, c.p.c.

domenica 22 dicembre 2019

IL TERMINE DEI 3 MESI NELLA MEDIAZIONE CIVILE OBBLIGATORIA



Il fatto dei 3 mesi di tempo è indicato dalla legge solo ai fini della c.d. condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.
In buona sostanza, prima dei 3 mesi dall’inizio del procedimento non si può avviare la causa in Tribunale.
Dunque, un eventuale “accordo di mediazione” resta ugualmente valido anche concluso fuori tempo massimo.
Il termine di 3 mesi stabilito dalla legge non costituisce un limite, per la formazione dell’accordo, ma solo una condizione per poter agire in Tribunale.
Esso è stato infatti stabilito solo allo scopo di evitare che le parti fossero assoggettate, all’infinito, al divieto di rivolgersi all’autorità giudiziaria.

L’avvocato che partecipa alla mediazione in nome e per conto della parte deve essere in possesso di apposita procura notarile.

La parte interessata per assolvere la condizione di procedibilità deve partecipare personalmente alla mediazione.
Qualora sia impossibilitata è necessario che conferisca al difensore che partecipa per suo nome e conto, una valida procura che deve essere esibita al mediatore.
Non è sufficiente che l’avvocato presenti una procura con firma autenticata da sé stesso ma, al fine di ritenere avverata la condizione di procedibilità, è necessaria una apposita procura notarile conferita per ragioni di oggettiva impossibilità a presenziare alla mediazione. Detta procura, inoltre, deve essere menzionata nel processo verbale dell’incontro di mediazione quale “fonte dei poteri di rappresentanza sostanziale conferiti al difensore nominato quale procuratore speciale”.
In caso contrario la condizione di procedibilità si considera non avverata. (Tribunale di Velletri, sentenza del 22/05/2018)

martedì 5 gennaio 2016

ADR (ALTERNATIVE DISPUTE RESOLUTION): Le procedure alternative al giudizio. Un bilancio ad oggi.

L’Italia, sulla scia della direttiva europea del 2008, sta promuovendo sempre di più i metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Con il DM 139/2014 (che, oltre ad aver disciplinato l’incompatibilità e i conflitti d’interesse dei mediatori, ha apportato ulteriori modifiche e integrazioni al DM 180/2010), vi è stata una riduzione del 12% delle cause civili, oltre alla nascita e allo sviluppo di strutture parapolitiche (come i Corecom), che hanno il compito di gestire i dissidi tra aziende e consumatori. “Sono necessari interventi volti ad incentivare, attraverso l’informazione, i sistemi ADR su più livelli: da quello dei consumatori, a quello delle PMI, degli studenti, delle PA, adottando iniziative di formazione adeguata e specializzata, con la promozione di studi qualitativi (la suddivisone, ad esempio, per tipologie di ADR) e quantitativi (analisi e diffusione dei dati anche a livello comunitario)”.

COMPETENZA, FORMAZIONE, AGGIORNAMENTO
La spinta verso la definizione stragiudiziale delle controversie è sentita sia dalle associazioni dei consumatori che dall’Europa. “I provvedimenti del 2014 hanno portato ad una degiurisdizionalizzazione del sistema, attraverso la disincentivazione della causa, come per esempio l’introduzione della negoziazione assistita, dove l’attore principale non è più il giudice, ma sono i legali, fuori dalle aule di giustizia”. Oltre poi al fatto che oggi, nel giudizio, chi perde rimborsa le spese processuali, mentre prima le spese venivano compensate tra le parti. La giustizia, va affrontata “in termini manageriali, necessaria è la specializzazione, che produce l’efficienza ovvero l’efficientamento del processo”. L’incentivazione dei servizi ADR deve però passare attraverso “un’armonizzazione del sistema”, che presuppone la semplificazione. Oggi si avviano troppe procedure, che risultano troppo complicate e poco armonizzate tra loro. “È opportuno misurarsi sotto tre profili fondamentali: 1. competenza, 2. formazione, 3. aggiornamento. Le cause vanno trasferite solo se sussistono le competenze! Importante, in tal senso, è anche il ruolo delle Università sul tema ADR, per far sì che “la soluzione stragiudiziale venga concepita non più come soluzione di serie B, ma di serie A, perché è efficiente, poco costosa ed efficace” e i primi a beneficiarne saranno i cittadini e le imprese.

IMPARZIALITA’, PROFESSIONALITA’, AUTOREVOLEZZA
Anche nel DEF (Documento Economia e Finanza) 2014 si parla di previsione e potenziamento di misure alternative al processo. Ciò sta a significare che anche dal punto di vista politico e governativo si vuole procedere in questa direzione.
La funzionalità e l’efficienza della giustizia non bastano, perché bisogna lavorare per un cambio di mentalità e di cultura. Anche la magistratura sta supportando la procedura alternativa al giudizio: “sempre più giudici decidono di trasferire le parti davanti ad un organismo di mediazione e, se in alcune realtà risulta un passaggio inutile, in altre, al contrario, è efficace”.
Tre caratteristiche sono essenziali per un ODM: “imparzialità, professionalità ed autorevolezza”. La presenza obbligatoria dei legali, ad esempio, in sede di mediazione, garantisce il diritto. Fondamentale è la specializzazione e la promozione della prevenzione della litigiosità per deflazionare il contenzioso, secondo quella che il Presidente Mattarella ha definito “pacificazione sociale”. “È opportuno far capire al cittadino che la strada delle ADR è vantaggiosa per tre motivi: economica, pratica, veloce”. Il Governo “con la Legge di Stabilità, ha fornito incentivi statali solo alla negoziazione assistita”, mentre la mediazione non è stata considerata, nonostante il dato secondo cui “il 40% delle parti che accettano di procedere per la via stragiudiziale, raggiungono l’accordo, come è stato registrato nelle statistiche ministeriali, comportando un risparmio, nel settore giustizia, di 5 milioni di euro”.
Il Governo, inoltre, con il d. lgs. 130/2015 (ADR consumatori) ha recepito la direttiva europea, proteggendo i consumatori e promuovendo l’attivazione volontaria della risoluzione alternativa delle controversie. “Anche per quanto riguarda il tema della liberalizzazione, in materia di consumo, le ADR potrebbero essere un motore di incentivazione nel rapporto con l’utente”.

PREVEDIBILITA’, TEMPESTIVITA’ E AUTOREVOLEZZA. GIUSTIZIA-ECONOMIA-IMPRESA
“La giustizia non è una variabile indipendente dall’economia”; “La giustizia non riguarda solo magistrati e avvocati, ma è uno snodo cruciale tra sistema economico, sociale e sistema Paese, il cui fondamento è la democrazia, il vivere insieme, seguendo determinate regole. Non c’è giustizia senza collettività e viceversa”. Dunque: cosa chiedono i cittadini alla giustizia? “Prevedibilità e tempestività”. Il più delle volte la giustizia, in Italia, risulta essere “una sorta di lotteria che risponde a canoni indecifrabili”. Alla stessa domanda viene fornita una diversa risposta nei vari tribunali italiani e, soprattutto, per risolvere un processo civile si impiegano in media 608 giorni. “Dopo di noi ci sono Cipro e Malta”.
L’Italia risulta essere un Paese in cui si produce una mole spropositata di contenzioso, la cui tipologia è profondamente mutata nel tempo, sfociando in una sorta di “law explosion”, che ha generato microconflittualità: “dalla grande causa alla lite di cortile, dalla giustizia per pochi alla giustizia per molti, interessando vari temi: il clima, la salute, la vita, la morte”, tanto che al giudice si richiedono competenze sempre più dettagliate, approfondite, specialistiche: da giudice generalista oggi a giudice specializzato. “La celerità dipende anche dalla specializzazione; il giudice non fa i conti solo con la normativa nazionale, ma con un reticolo giurisprudenziale europeo e internazionale, che lega e complica la trama legislativa”.
E per la mediazione vale lo stesso discorso: “costruire un mediatore non generalista”, selezionato, aggiornato, professionale, perché “l’autorevolezza è legittimazione del consenso”.
La giustizia alternativa, non deve essere interpretata in termini deflattivi, ma va vista come strumento positivo in sé, perché è una spinta all’accesso alla giustizia e quindi “all’art. 24 della Costituzione”, perché permette di preservare la relazione tra le parti e risponde alla “realizzazione del principio di sussidiarietà della giustizia, dove il ricorso al giudice togato è la extrema ratio. Lo Stato interviene laddove siano state esperite prima tutte le forme di soluzione alternativa delle controversie. La sfida è ardua e impegnativa, ma va vinta non nell’interesse di una nuova corporazione(mediatori/conciliatori), ma del sistema giustizia e, quindi, dei cittadini”.

LEGALITARISMO E SOLUZIONI STRAGIUDIZIALI. IL LAVORO DELLA CORTE DEI CONTI.
Il lavoro della Corte dei Conti, che è quello di controllare e vigilare in materia fiscale sulle entrate e spese pubbliche all’interno del bilancio dello Stato, ha riscontrato che il sistema giustizia, nel nostro Paese, impegna nell’anno 7 miliardi e 500 milioni di euro e i suoi ritardi causano mediamente 1 miliardo di danni. Dati, questi, registrati dalla Confcommercio. La Corte dei Conti sta, pertanto, valutando l’efficienza del sistema giustizia, che non risulta essere soddisfacente, perché troppo macchinoso e eccessivamente gravoso nel settore commerciale, degli investimenti, dove gli imprenditori non hanno riscontro se non dopo tanti anni. Ci si chiede allora: perché il sistema è così involuto? Le ragioni sono tantissime. “Una delle tante è l’eccesso di legislazioni: il legalitarismo ci ha ingessato, vi è necessità di codificare qualsiasi cosa, tanto che si è generata una sorta di superfetazione legislativa, che ha bloccato il sistema. Oltre poi alla grande quantità di contenzioso che si genera in Italia”.
Inoltre circa l'utilizzo dello strumento della mediazione all’interno dello Stato il “compito di coloro che sono al governo dello Stato è quello di perseguire l’interesse pubblico, ben differente da quello privato. Nei servizi pubblici non sono possibili le transazioni, per cui la mediazione non è legittimata. La mediazione fa sì che due parti si incontrino attraverso rispettive rinunce. Nella Corte dei Conti la transazione viene approvata dopo essere stata esaminata dalla Procura della Corte dei Conti, che ha il compito di valutare se la rinuncia risponda ad una giusta pretesa oppure possa causare un danno. Il che significa che le transazioni sono congelate”.
Questo non esclude il fatto che i modi stragiudiziali per risolvere le controversie, anche all’interno della Corte dei Conti, esistano e siano stati incentivati. È stato citato il ricorso amministrativo, il sistema del ricorso straordinario al Capo dello Stato (L. n. 69/2009), mentre tra le leggi degli anni Novanta, quella sul procedimento amministrativo (L. n. 241/1990), per prevenire e gestire conflitti, prevedendo la possibilità di addivenire ad un accordo: “anche se si tratta di un istituto poco praticato”.

GLI AVVOCATI-MEDIATORI: QUESTIONI DI INCOMPATIBILITA’
Nel DM 180/2010 gli avvocati sono stati definiti mediatori di diritto e nel novembre 2015 un’importante sentenza del Consiglio di Stato sulla mediazione ha stabilito l’obbligo della formazione specifica per gli avvocati-mediatori e l’incompatibilità dell’avvocato, che non può depositare istanze di mediazione nell’Organismo in cui esercita la professione di mediatore, pena la sospensione dell’attività professionale. “Gli ordini forensi per primi hanno inserito gli ODM nei loro organi interni e ciò conferma la serietà con cui l’avvocatura si è approcciata alla mediazione. Se da una parte l’avvocatura ha dato e continua a dare forte impulso alla mediazione, non deve però essere penalizzata con l’incompatibilità assoluta (cfr. art. 14-bis del DM 139/2014)”. Positivi, la negoziazione assistita, soprattutto nell’ambito della famiglia, e le camere arbitrali forensi: “grande sbocco per l’avvocatura, perché sono strumenti utili da offrire ad una clientela che vuole giustizia in tempi rapidi ed economici”.

RAZIONALIZZARE IL PROCESSO, RAZIONALIZZARE LE ALTERNATIVE
Se da un lato è necessario razionalizzare il processo, dall’altro è opportuno rendere razionali anche le alternative. “Talvolta si cerca di utilizzare i mezzi alternativi al processo senza occuparsi di migliorare il processo. Razionalizzare significa scegliere le opportunità più convenienti, estendendo la cultura della pacificazione ossia l’opportunità di transigere”. L’avvocato, in qualità di dominus della scelta, “deve poter scegliere tra due attività funzionali a tutelare i diritti del proprio cliente”. Si è dimostrato contrario all’obbligatorietà della mediazione, perché “taglia le ali alle potenzialità dell’alternativa e, soprattutto, non può essere misurata sulle vicende delle statistiche”. Il Legislatore, dovrebbe scommettere sulle alternative “non come costrizione, ma come convinzione, oltre a preoccuparsi di modificare il processo civile”.

Cit. “Scoraggia la lite. Favorisci l’accordo ogni volta che puoi. Mostra come l’apparente vincitore sia spesso un reale sconfitto … in onorari, spese e perdite di tempo” (Abraham Lincoln).

Previdenza avvocati. Vademecum

Come già si sa, per gli avvocati iscritti agli Albi professionali è oggi obbligatoria l'iscrizione alla Cassa di previdenza e assistenza forense.

Essa resta facoltativa solo per i praticanti avvocati iscritti nell'apposito registro, mentre nessuna scelta diversa dall'iscrizione alla Cassa può essere esercitata né dagli avvocati che siano iscritti ad altri albi professionali né da quelli che svolgano funzioni di giudice di pace, giudice onorario di tribunale o sostituto procuratore onorario in udienza.
 

Il contributo soggettivo

Indipendentemente dal reddito, ogni avvocato è tenuto a versare alla Cassa forense il cd. contributo minimo soggettivo obbligatorio, che, per il 2015, è fissato in Euro 2.810,00.
Tale importo, in ogni caso, è soggetto a rivalutazione annuale sulla base degli indici ISTAT.
Per agevolare l'accesso alla professione, tuttavia, il contributo minimo obbligatorio può essere ridotto al 50% per i praticanti abilitati e, per i primi sei anni di iscrizione, per gli avvocati che si sono iscritti all'Albo prima del compimento dei 35 anni di età.
I percettori di redditi inferiori a Euro 10.300,00, inoltre, hanno la facoltà, per i primi otto anni di iscrizione alla Cassa, di chiedere la riduzione per un ulteriore 50%, con riconoscimento, però, di un periodo di contribuzione annuale di soli 6 mesi.
Il contributo soggettivo si completa con il versamento del 14% del reddito netto professionale dichiarato ai fini Irpef, sino all'ammontare del tetto pensionabile (Euro 97.850,00 per il 2015) e del 3% per la parte eccedente.

Il contributo integrativo

Al contributo soggettivo si aggiunge un contributo integrativo.
Esso è stabilito nella misura del 4% del volume annuale d'affari IVA, non concorre alla formazione del reddito professionale e non è soggetto all'Irpef.
Il contributo integrativo, inoltre, è ripetibile nei confronti dei clienti e, pertanto, va inserito in fattura.
L'ammontare minimo di tale contributo, in ogni caso, è pari, per il 2015, a Euro 710.
Non deve essere pagato, tuttavia, dagli avvocati per i primi cinque anni di iscrizione alla Cassa, indipendentemente dall'età, mentre per i quattro anni successivi, se l'iscrizione è stata effettuata prima del compimento dei 35 anni di età, esso è ridotto alla metà.
Si precisa, poi, che non sono assoggettati al contributo integrativo i pensionati di vecchiaia e i praticanti abilitati al patrocinio.

Il contributo e l'indennità di maternità

Tutti gli iscritti alla Cassa, inoltre, sono tenuti al pagamento di un contributo di maternità, volto a coprire l'indennità erogata in favore delle professioniste madri.
Esso, per il 2015, ammonta ad Euro 131,00.
Si sottolinea, a tal proposito, che l'indennità di maternità è pari all'80% dei 5/12 del reddito netto dichiarato ai fini Irpef, prodotto nel secondo anno precedente quello in cui si è verificata la gravidanza, compreso entro limiti minimi e massimi.
Più in particolare, tale importo non può essere inferiore a quello stabilito in base alle tabelle INPS vigenti nell'anno del parto né superiore a cinque volte l'importo minimo.
L'indennità di maternità è corrisposta in un'unica soluzione per un totale di cinque mensilità (ovverosia le due antecedenti la data presunta del parto e le tre successive la data effettiva del parto).

Il contributo modulare volontario

Tutti gli iscritti alla cassa, infine, possono versare, su base volontaria, un contributo ulteriore, aggiuntivo rispetto a quello obbligatorio, di misura compresa tra l'1% e il 10% del reddito professionale netto dichiarato ai fini Irpef, entro il tetto massimo reddituale.
Non possono, tuttavia, corrispondere il contributo modulare volontario i pensionati, fatta eccezione per coloro che percepiscono pensione di invalidità.

Il modello 5

Ogni avvocato, poi, è tenuto a compilare il cd. modello 5, attraverso il quale comunicare alla Cassa i propri dati reddituali e procedere all'autoliquidazione di eventuali contributi dovuti.
Il modello va compilato a partire dall'anno successivo a quello di iscrizione all'albo e anche nel caso in cui il volume d'affari IVA e il reddito professionale annuo siano pari a zero o, addirittura, negativi.

Il modello 5-bis

I professionisti che hanno svolto attività professionale in forma associata nel corso dell'anno solare cui è riferito il reddito indicato nel modello 5 sono tenuti a un ulteriore adempimento: la compilazione del cd. modello 5 bis.
Attraverso questo modello, che non è alternativo ma aggiuntivo rispetto al modello 5, si comunica alla Cassa il dato reddituale complessivo degli studi legali associati o delle società tra professionisti.

Le scadenze fissate per gli adempimenti

I pagamenti dovuti dagli iscritti alla Cassa forense, in ogni caso, non sono dovuti tutti insieme.
Annualmente, infatti, sono fissate delle scadenze (che più o meno si ripetono di anno in anno) per poter provvedere a pagamenti rateali.
Per il 2015, in particolare, i contributi minimi obbligatori soggettivo, integrativo e di maternità possono essere pagati in quattro rate, con scadenza 28 febbraio, 30 aprile, 30 giugno e 30 settembre. Proprio tale data costituisce anche il termine ultimo oltre il quale eventuali omissioni o ritardi nel pagamento dei contributi minimi sono sanzionati.
Sempre il 30 settembre 2015 è stato individuato quale termine entro il quale inviare il mod. 5/2015 e il mod. 5bis/2015.
Con riferimento, invece, ai contributi obbligatori soggettivi e integrativi dovuti in autoliquidazione per l'anno 2014, le due rate per il pagamento previste per il 2015 sono 31 luglio e 31 dicembre.
Al 31 ottobre è stato fissato il termine per il pagamento dei contributi minimi dell'anno in corso, degli anni precedenti e degli istituti facoltativi (riscatto, ricongiunzione, retrodatazione).
Scadrà, infine, il 31 dicembre 2015 il pagamento della contribuzione modulare volontaria.

Le prestazioni previdenziali

» La pensione di anzianità

Tra le prestazioni previdenziali erogate dalla Cassa vi è, innanzitutto, la pensione di anzianità.
Ne hanno diritto coloro che hanno maturato i seguenti requisiti:
- fino al 31 dicembre 2011: 58 anni di età e 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2013: 58 anni di età e 36 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2015: 59 anni di età e 37 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2017: 60 anni di età e 38 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2019: 61 anni di età e 39 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2020: 62 anni di età e 40 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
L'importo per la pensione di anzianità varia a seconda dei casi.
A tal proposito, è interessante segnalare che, a seguito della riforma della previdenza forense, con riferimento alle pensioni di anzianità con decorrenza dal 1° febbraio 2010 in poi, non è più prevista la pensione minima. Oggi, infatti, è prevista un'integrazione al trattamento minimo, che può essere applicata nel caso in cui i redditi dell'iscritto e del coniuge non superino, complessivamente, il triplo della pensione minima dell'anno di maturazione del diritto.
L'importo della pensione, poi, è dato dalla somma tra una quota di base, calcolata con criterio retributivo, e una quota modulare, calcolata con criterio contributivo.

» La pensione di vecchiaia retributiva

La Cassa forense eroga, poi, anche la pensione di vecchiaia. Essa si divide in contributiva e retributiva.
Hanno diritto alla pensione di vecchiaia contributiva i professionisti che hanno maturato i seguenti requisiti:
- fino al 31 dicembre 2010: 65 anni di età e 30 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013: 66 anni di età e 31 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016: 67 anni di età e 32 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2018: 68 anni di età e 33 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2020: 69 anni di età e 34 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
- dal 1° gennaio 2021: 70 anni di età e 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione
Anche con riferimento alla pensione di vecchiaia retributiva, come per quella di anzianità, valgono le stesse innovazioni introdotte dalla riforma della previdenza forense.

» La pensione di vecchiaia contributiva

I professionisti iscritti alla Cassa che, pur avendo maturato il requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaia retributiva, non abbiano raggiunto la necessaria anzianità contributiva, possono accedere alla pensione di vecchiaia contributiva al ricorrere dei seguenti requisiti:
- fino al 31 dicembre 2010: 65 anni di età con almeno 5 ma meno di 30 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa
- dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013: 66 anni di età con almeno 5 ma meno di 31 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa
- dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016: 67 anni di età con almeno 5 ma meno di 32 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa
- dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2018: 68 anni di età con almeno 5 ma meno di 33 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa
- dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2020: 69 anni di età con almeno 5 ma meno di 34 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa
- dal 1° gennaio 2021: 70 anni di età con almeno 5 ma meno di 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa
Essa è composta da una quota "di base" e da una quota "modulare", calcolate secondo i criteri stabiliti dalla legge numero 335 del 1995 e dall'articolo 6 del Regolamento per le Prestazioni Previdenziali, in base ai contributi soggettivi versati alla Cassa fino al tetto pensionabile e tenendo conto delle somme corrisposte a titolo di riscatto o ricongiunzione.

» I supplementi di pensione

L'avvocato che rimanga iscritto alla cassa pur percependo già una pensione di vecchiaia retributiva ha diritto a percepire un primo supplemento di pensione dopo due anni dal pensionamento (cd. supplemento biennale) e un secondo ulteriore supplemento di pensione alla scadenza del successivo triennio (cd. supplemento triennale).
Per quanto invece riguarda, inveece, i professionisti che proseguono l'esercizio dell'attività professionale pur percependo già la pensione di vecchiaia contributiva, occorre fare una distinzione.
Se la pensione ha decorrenza compresa entro il 1° gennaio 2010 essi hanno diritto a un supplemento biennale e a uno triennale. Se, invece, la decorrenza è a partire dal 1° febbraio 2010, essi non hanno diritto ad alcun supplemento di pensione.

» La pensione modulare

Come visto, a partire dalla riforma del 2010, è stata introdotta la quota di pensione modulare. Tale aspetto costituisce forse uno dei più interessanti della riforma previdenziale forense del 2010.
Si tratta, in particolare, di una quota che si aggiunge al trattamento pensionistico di base e non di una prestazione previdenziale autonoma.
La quota modulare delle pensione è determinata secondo il criterio di calcolo contributivo e la sua decorrenza è la medesima prevista per la pensione di base.
Per comprendere al meglio cos'è la pensione modulare e i vari aspetti che la compongono, Cassa forense ha predisposto un'apposita guida: "La nuova "pensione modulare" per gli avvocati".

» Pensione di inabilità e pensione di invalidità

La Cassa forense corrisponde poi ai propri iscritti, che siano in possesso dei requisiti richiesti, anche la pensione di inabilità e quella di invalidità.
Più nel dettaglio, possono beneficiare della pensione di inabilità i professionisti in possesso dei seguenti requisiti:
- capacità a esercitare la professione esclusa in modo permanente e totale a causa di malattia o infortunio
- malattia o infortunio sopravvenuti all'iscrizione
- iscrizione in atto continuativamente da data anteriore al compimento del 40° anno di età
- effettiva iscrizione e contribuzione per almeno 5 anni, per inabilità causata da malattia o infortunio
- cancellazione da tutti gli albi forensi, compreso quello speciale per il patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle giurisdizioni superiori
- regolarità della posizione contributiva nei confronti della Cassa.
Possono invece beneficiare della pensione di invalidità i professionisti in possesso dei seguenti requisiti:
- capacità a esercitare la professione ridotta, in modo continuativo, per infermità o difetto fisico o mentale, a meno di 1/3
- infermità o difetto fisico o mentale sopravvenuti all'iscrizione o, se preesistenti, aggravati dopo l'iscrizione o sopraggiunte nuove infermità tali da ridurre la capacità lavorativa a meno di 1/3
- iscrizione in atto continuativamente da data anteriore al compimento del 40° anno di età
- effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa da almeno 5 anni, sia che l'infermità derivi da malattia sia che dipenda da infortunio
- regolarità della posizione contributiva nei confronti della Cassa.

» La pensione di reversibilità

Anche la Cassa forense, al pari delle altre gestioni previdenziali, comprende poi tra le prestazioni erogate anche la pensione di reversibilità in caso di decesso del professionista.
In particolare, ne ha innanzitutto diritto il coniuge.
A tal proposito occorre precisare che nel caso di separazione, al coniuge superstite la pensione di reversibilità spetta solo nel caso in cui lo scioglimento del legame coniugale non gli sia stato addebitato. Se, invece, il coniuge superstite era separato "con addebito" dal professionista, avrà diritto alla pensione solo nel caso in cui risultasse comunque beneficiario di un assegno alimentare a carico del defunto.
Per quanto riguarda, invece, il coniuge divorziato, egli può beneficiare della pensione di reversibilità solo nel caso in cui sia titolare dell'assegno alimentare e non si sia risposato.
Oltre al coniuge, l'assegno spetta anche ai figli che siano minori di anni 18; studenti di scuola media o professionale di età non superiore a 21 anni, a carico del genitore al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito; studenti universitari che siano a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito, per gli anni del corso legale di laurea sino a massimo il compimento di 26 anni di età; figli maggiorenni inabili, a carico dell'iscritto pensionato al momento della sua morte.
L'ammontare della pensione, per il coniuge è pari al 60% se non ci sono figli minori o equiparati, all'80% con un figlio minore o equiparato e al 100% con due o più figli minori o equiparati.
Per i figli minori o equiparati, invece, la pensione di reversibilità spetta per il 60% a un solo figlio, per l'80% a due figli e per il 100% a tre o più figli.

» La pensione indiretta

Nel caso in cui al momento del decesso il professionista non era ancora pensionato, ai familiari spetta, invece, la pensione indiretta.
Ne possono beneficiare gli stessi soggetti che hanno diritto alla pensione di reversibilità.
I requisiti necessari affinché la Cassa forense eroghi tale prestazione sono, innanzitutto, che l'iscritto abbia maturato almeno 10 anni di effettiva iscrizione e contribuzione e che l'iscrizione sia in atto continuativamente da data anteriore al compimento del 40° anno di età.
Inoltre, l'eventuale cessazione dell'iscrizione deve essere intervenuta non prima di tre anni anteriori al decesso e non deve essere stato stato chiesto il rimborso dei contributi.
Infine, il professionista deceduto doveva avere una posizione contributiva regolare nei confronti della Cassa.


Sul sito di Cassa forense è possibile trovare approfondimenti sulle varie prestazioni previdenziali offerte: prestazioni previdenziali.

» Ricongiunzione e totalizzazione

Anche la Cassa forense dà ai propri iscritti la possibilità di ricorrere agli istituti della ricongiunzione e della totalizzazione.
In particolare, la finalità della ricongiunzione è quella di far conseguire agli iscritti il diritto e la misura a una unica pensione.
Ciò può avvenire tramite ricongiunzione nella gestione nella quale il soggetto risulta iscritto al momento della presentazione della domanda, tramite ricongiunzione in gestione diversa da quella di iscrizione o, infine, tramite ricongiunzione per la liquidazione di un supplemento di pensione.
Per quanto riguarda, invece, la totalizzazione, essa consente di maturare una pensione di vecchiaia, di anzianità, di inabilità e indiretta, cumulando i periodi assicurativi che sono stati maturati presso gestioni previdenziali diverse, non contestualmente. La finalità è quella di poter conseguire un unico trattamento pensionistico, senza alcun onere per l'iscritto.

» Il riscatto

Un'ulteriore possibilità prevista nell'ambito della previdenza forense è quella del riscatto, attraverso il quale è possibile computare anni aggiuntivi ai fini contributivi, ovviamente corrispondendo quanto dovuto.
Gli anni che possono essere riscattati sono quelli del corso legale di laurea in giurisprudenza, del servizio militare obbligatorio o di quello civile sostitutivo o equiparato, del servizio militare prestato in guerra e del praticantato con o senza abilitazione al patrocinio.
Possono beneficiare del riscatto innanzitutto gli iscritti Cassa, anche pensionati, e i cancellati dalla Cassa, che conservano il diritto a pensione di vecchiaia, in regola con l'invio delle comunicazioni obbligatorie.
Ne possono beneficiare, poi, i titolari di pensione di inabilità e i superstiti di avvocati deceduti (non pensionati) al fine di maturare il periodo di anzianità necessario per conseguire la pensione indiretta.

» Le prestazioni assistenziali

Oltre alle classiche prestazioni previdenziali, Cassa forense offre ai propri iscritti diverse prestazioni assistenziali.
In particolare, è prevista, innanzitutto, un'assistenza in caso di bisogno, corrisposta in caso di difficoltà economiche contingenti o momentanee. Il riferimento va soprattutto ai casi di malattia o infortunio.
La Cassa, inoltre, prevede un indennizzo da corrispondere ai professionisti che abbiano subito un danno lesivo della propria attività professionale a causa di una catastrofe o una calamità naturali.
Sono poi previsti, ovviamente, un indennizzo per infortunio o malattia, corrisposto laddove questi abbiano impedito l'esercizio della professione in maniera assoluta per almeno tre mesi consecutivi, e, come visto, un'indennità di maternità corrisposta alle professioniste in caso di parto, di adozione o affidamento preadottivo e in caso di aborto spontaneo o terapeutico.
Ma le provvidenze non finiscono qui.
Cassa forense prevede a favore dei propri iscritti un contributo per le spese funerarie in caso di decesso di prossimi congiunti, parenti entro il terzo grado, affini entro il secondo e convivente more uxorio.
Vi sono poi delle erogazioni assistenziali in favore di avvocati ultraottantenni e ulteriori provvidenze in corso di attuazione, come borse di studio e contributi per spese di ospitalità in istituto per anziani, malati cronici o lungodegenti o per assistenza infermieristica domiciliare temporanea.

Sul sito di Cassa forense è possibile trovare approfondimenti sulle diverse tipologie di prestazioni assistenziali nell'apposita sezione "le prestazioni assistenziali".

domenica 27 dicembre 2015

Forfettario 2016 - faq


Nuovo Forfettario: calcolo del reddito, limite di ricavi, permanenza nel regime, casi particolari.
Dal primo gennaio 2016 sarà possibile aderire al Nuovo Regime Forfettario: si tratta di un regime fiscale agevolato, che comporta una tassazione sostitutiva del 5% (per chi inizia una nuova attività), da non confondere col Regime dei Nuovi Minimi ( nel 2016 non più accessibile), che comporta anch’esso una tassazione sostitutiva, ma con criteri differenti per la determinazione del reddito.
Il Regime Forfettario esiste, in realtà, già dal 2015, ma la Legge di Stabilità 2016 ha apportato significative novità.
Vediamo ora tutte le Faq sull’esercizio dell’attività, i benefici fiscali, come si calcola il reddito, i criteri di accesso e permanenza, ed i casi particolari.
È vero che col Nuovo Forfettario devo versare il 5% di IRPEF su quello che guadagno?
Il Nuovo Regime Forfettario comporta una tassazione del 5%, che sostituisce Irpef, addizionali ed Irap (inoltre non si è soggetti all’Iva), solo nei primi 5 anni, quando s’intraprende una nuova attività*, dal 2016; per chi inizia una nuova attività nel 2015, la tassazione è al 10% per chi aderisce nel periodo transitorio, diversamente opera la tassazione al 15%, con la riduzione di un terzo del reddito imponibile; per i soggetti che non iniziano una nuova attività, la tassazione è al 15%, sia nel 2015 che nel 2016.
Quali requisiti devo avere per aderire al Forfettario come nuova attività*?
La nuova attività*, [per fruire della tassazione agevolata del 5%], non deve costituire mera prosecuzione di un’attività già esistente, esercitata anche come lavoratore dipendente (escluso l’esercizio come pratica professionale); inoltre, il contribuente [non deve aver avuto] una partita Iva aperta ( o meglio, aver esercitato un’attività d’impresa o di lavoro autonomo) negli ultimi 3 anni.
Quali spese posso dedurre col Nuovo Forfettario?
Il Regime Forfettario non permette la deduzione di alcuna spesa, ma decurta i ricavi, o fatturato, di un determinato coefficiente: per i liberi professionisti, l’imponibile, su cui è calcolata l’imposta (del %5 o 10%, per le nuove attività, o del 15%), è pari al 78% dei compensi. Dunque, se il totale dei compensi annui ammonta a 10.000 Euro, si pagheranno le imposte su 7.800 (il 78%), dedotti i contributi previdenziali.
È vero che col Nuovo Forfettario devo versare il 27,72% di INPS su quello che guadagno? Sono un consulente abilitato ma non sono iscritto all’Ordine, quindi penso che la Gestione Separata sia la mia unica opzione.
Per i professionisti senza cassa, come i non iscritti ad un Ordine, o Albo, è d’obbligatoria l’iscrizione alla Gestione Separata Inps, a prescindere dal regime fiscale utilizzato, con il pagamento della contribuzione pari al 27,72% (al 24%, dal 2016, se il professionista è pensionato o iscritto ad altra gestione) del reddito netto (per il forfettario, si prenderà in considerazione il reddito decurtato dal coefficiente, come sopra calcolato): non sono previsti minimali, ma si paga a consuntivo.
Se decido di aprire un bar, dovrò iscrivermi alla Gestione Separata Inps perché ho scelto il Forfettario?
La Gestione previdenziale a cui iscriversi non è determinata dal regime fiscale, ma dall’attività svolta: pertanto, chi decide di aprire un bar, o un negozio, dovrà iscriversi alla Gestione Inps Artigiani e Commercianti, e non a quella Separata.
Col Forfettario, se sono iscritto alla Gestione Inps Artigiani e Commercianti, non devo pagare nessun minimale?
Per il 2015 quanto affermato è corretto: chi è iscritto alla Gestione Inps Artigiani e Commercianti, ed usufruisce del Regime Forfettario, ha il beneficio di non essere obbligato al pagamento del minimale; deve però richiedere appositamente tale agevolazione all’Inps. Tuttavia, per il 2016 non sarà così: anziché il beneficio del mancato pagamento del minimale, sarà applicato uno “sconto” del 35% sulla contribuzione dovuta. Questo, però, avverrà se sarà confermato quanto previsto nel Maxiemendamento al Ddl Stabilità 2016.
Ho letto online che, oltre alle tasse relative all’anno passato, col nuovo Forfettario si dovrà versare un anticipo del 50% di quelle relative all’anno in corso, ovviamente presunte. Se questo fosse vero, dovrei versare il 50% del saldo pagato sui redditi dell’anno passato?
Relativamente agli acconti, la procedura stabilita per il Nuovo Forfettario è la stessa prevista per l’Irpef: dunque, entro il 16 giugno (salvo proroghe) si dovrà pagare il saldo risultante in Unico 2016 (pari al 5, 10 o 15% del reddito, dedotti i contributi previdenziali), più il primo acconto, pari al 40% del saldo, che può essere differito al 16 luglio con la maggiorazione dello 0,40% (anch’esso salvo proroghe da stabilirsi di anno in anno); il secondo acconto, pari al 60% del saldo, dovrà essere versato entro il 30 novembre. Se il saldo risulterà inferiore a 257,52 Euro, l’acconto, pari al 100%, potrà essere versato in un’unica soluzione entro il 30 novembre. Se l’importo risulterà inferiore a 51,65 Euro, il contribuente non dovrà versare alcun acconto.
Nulla vieta di determinare l’acconto con metodo previsionale, ad esempio se si prevede di guadagnare molto meno nell’anno in corso: tuttavia, il mancato versamento, se poi la previsione si rivelasse errata, esporrebbe al rischio di sanzioni.
È giusto affermare che, avendo aperto la mia attività il primo settembre, il massimo che posso fatturare per non uscire dal regime Forfettario non è 40.000 euro ma circa 13.300 Euro, per il 2015? Ho aperto un’attività di commercio all’ingrosso, ho diviso per dodici l’importo annuo e moltiplicato per 4, è corretto?
Per quanto concerne il limite di fatturato di 40.000 Euro, valido per il commercio all’ingrosso e al dettaglio nel 2015 (nel 2016 sarà pari a 50.000), è corretto affermare che i ricavi vadano ragguagliati ad anno: pertanto, per chi alza la serranda il primo settembre, il limite non è più 40.000, ma occorre dividere per 365 giorni e moltiplicare per il numero dei giorni intercorrenti tra l’apertura dell’attività ed il 31 dicembre; nel caso del primo settembre avremo: 40.000 : 365 x 122, cioè 13.369,86. In pratica il Regime Forfettario consente di fatturare, per i commercianti, 109,58 Euro al giorno. I limiti sono più bassi per il commercio di alimenti e bevande, e ancor più bassi per gli ambulanti.
Posso dedurre le perdite pregresse, da precedente attività?
Possono essere dedotte le perdite, imputandole a diminuzione dell’imponibile fiscale, se la precedente attività era soggetta alla contabilità ordinaria o al Regime dei Minimi; nel caso della contabilità semplificata, non sarà possibile dedurre le perdite pregresse.
Qual è il coefficiente di redditività più conveniente, col Forfettario?
I coefficienti che abbattono il reddito (al posto della deduzione dei costi) sono stati parametrati in base all’attività svolta. Quello più basso rende imponibile il 40% del reddito (guadagni 10.000, paghi le tasse su 4.000-dedotte eventuali perdite pregresse e contributi, se non si tratta di nuova attività). Possiedono questo coefficiente le attività commerciali (escluso il commercio ambulante di alimenti e bevande, a cui si applica il 54%), del settore turistico (servizi di alloggio e ristorazione), e le Industrie alimentari e delle bevande.
Qual è il coefficiente di redditività meno conveniente, col Forfettario?
Il coefficiente per il quale la decurtazione del reddito è minore è senz’altro quello relativo al settore delle Costruzioni ed Attività Immobiliari, pari, nel 2016, all’86%.
Come si fa la fattura nel Forfettario?
Rispetto a una fattura standard, la fattura dei contribuenti che applicano il Forfettario non ha la rivalsa dell’Iva (cioè non viene applicata l’Iva), né la ritenuta d’acconto del 20%. Si applica, ove dovuto, il contributo integrativo del 4% alla propria Gestione Previdenziale (per la Gestione Separata tale contributo è facoltativo). Sopra i 77,47 Euro deve essere applicata una marca da bollo da 2 Euro, con data contemporanea o antecedente a quella di emissione della fattura.
La dicitura, da inserire al termine del documento, è “Operazione effettuata ai sensi dell’Art. 1, Co. 54-89 Legge n. 190/2014 – Regime Forfettario”.
Se non riesco a dedurre tutti i Contributi Inps, l’eccedenza non dedotta può essere riportata l’anno successivo?
Il discorso non ha ragion d’essere per chi non paga contributi sul minimale, ad esempio per gli iscritti alla Gestione Separata, in quanto, essendo la contribuzione determinata a percentuale, se anche il reddito fosse zero perché il soggetto non ha fatturato, sarebbero pari a zero anche i contributi.
Ha ragion d’essere, invece, per chi comunque paga un minimale contributivo (iscritti alla Cassa artigiani e commercianti che nel 2015 non hanno aderito all’agevolazione Inps [1], iscritti ad altre gestioni che prevedono il pagamento di un minimale, ed ovviamente tutti gli iscritti alla Cassa artigiani e commercianti per l’anno 2016, poiché non è più prevista l’agevolazione che esonera dal minimale).
In questo caso, la deducibilità dei contributi funzionerà nella seguente maniera:
reddito (decurtato dal coefficiente) meno contributi pagati nell’anno: se il risultato è positivo, si potranno dedurre dal reddito tutti i contributi previdenziali;
reddito (decurtato dal coefficiente) meno contributi pagati nell’anno: se il risultato è negativo, si potranno dedurre dal reddito i contributi sino all’azzeramento del reddito stesso; la contribuzione in eccedenza eventualmente non dedotta non è riportabile all’anno successivo, ma potrà essere riportata in deduzione Irpef ordinaria, nel rigo RP21 (Oneri e spese), se il contribuente possiede un altro reddito tassabile ai fini Irpef; se non possiede altro reddito, ed i redditi conseguiti col Forfettario non superano (al netto) 2.841 Euro (requisito utile per considerare un familiare a carico), questi contributi potranno essere dedotti dal familiare che ha preso in carico il contribuente.
Quali sono i beni strumentali da considerare, per il superamento della soglia annuale di 20.000 Euro?
In generale, non devono essere considerati, ai fini del superamento della soglia annuale di 20.000 Euro (al lordo degli ammortamenti) i beni strumentali di valore inferiore a 516,46 Euro. I beni ad uso promiscuo, come autovetture e telefoni cellulari, sono considerati al 50%. I beni immobili non hanno alcuna rilevanza, e per i beni in locazione o comodato si considera il valore normale.
Se mi pento di aver aderito al Forfettario, perché mi rendo conto che i costi hanno superato i ricavi, che cosa devo fare?
Considerato che il Forfettario è il regime fiscale naturale, per le persone fisiche che non possiedono cause di esclusione dallo stesso (regimi Iva speciali, come agriturismo e vendita di beni usati o generi di monopolio, superamento della soglia di ricavi, spese per il personale dipendente, superamento soglia di costo dei beni strumentali…), è comunque possibile, per chi possieda tutti i requisiti per la permanenza nel regime, optare per il regime ordinario, in dichiarazione dei redditi: l’opzione avrà efficacia per 3 anni. Per i soggetti per i quali son venuti meno i requisiti, l’esclusione opera automaticamente.
Sono un libero professionista: se dovessi fatturare più di 30.000 Euro (anche di un solo Euro) ma comunque non superassi del 50% tale soglia, quindi fatturassi meno di 45.000 Euro, rimarrei nel Forfettario per l’anno in corso, per poi uscirne il successivo, mentre se fatturassi più del doppio ne uscirei direttamente nell’anno in corso?
Il Forfettario, a differenza del Regime dei Minimi, anche in caso di superamento della soglia di ricavi di oltre il 50%, permette comunque la permanenza nell’anno in corso, evitando pasticci e complicazioni burocratiche. 
Svolgo sia commercio ambulante di prodotti alimentari, che di altri prodotti; le due attività hanno, per il forfettario, due soglie diverse: quale soglia applico?
La normativa stabilisce che, per chi esercita più attività con soglie diverse, debba essere applicata la soglia più alta. Nel 2016 la soglia più alta, tra le due menzionate, apparterrà all’attività di commercio ambulante di prodotti alimentari, e sarà pari a 50.000 Euro, mentre il commercio ambulante di altri prodotti avrà una soglia di 40.000 Euro.
È vero che chi aderisce al Forfettario non può effettuare cessioni all’esportazione?
Tale divieto è valido per gli aderenti al Regime dei Minimi, che possono prestare servizi verso l’estero ma non esportare beni, ma non è valido per chi aderisce al Forfettario. Pertanto, potranno essere effettuate cessioni all’esportazione, previa iscrizione al Vies, che può essere effettuata anche in sede di apertura di partita Iva.
Ho aderito al Regime Forfettario: quali registri devo tenere?
Gli aderenti al Forfettario non hanno l’obbligo di tenuta dei Registri Iva, in quanto non applicano l’Iva, e non possono detrarla. Dovranno comunque conservare e numerare le fatture e le bolle doganali.
È vero che se aderisco al Forfettario non posso assumere dipendenti?
Chi aderisce al Forfettario può avere sia dipendenti che collaboratori, ma i compensi complessivi non possono superare i 5.000 Euro l’anno.
 [1] Inps, Circ. 29/2015.